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martedì, luglio 26, 2016

Tris Froome di Simone Basso

La centotreesima edizione del Tour de France finisce all'insegna dei deja vu: i Campi Elisi, bellissimi e affollati, malgrado i tempi della guerra liquida contro nemici indefinibili, la sfilata - meritata - dei corridori e la maglia gialla indossata da un britannico (apolide) del Team Sky, la squadra migliore col capitano migliore.

Chris Froome, terza Grande Boucle nel palmarès, se potesse dirlo, vi racconterebbe che pure nel 2012, quando fece da paggio a Sir Bradley Wiggins, era il più forte.
Di sicuro, il gregariato a Wiggo gli costò la Vuelta 2011: la corsa che lo rivelò sul proscenio internazionale. Erano passati solo quattro anni ma parevano eoni da quando, al Giro delle Regioni 2007, competizione italiana "dilettanti" allora importantissima, lo vedemmo imporsi in una tappa - a Montepulciano - di pura forza. Prendendo a calci la bici. Il successo esotico di un ciclista intruppato nella Mista Africana (sic). E che perse la Generale perchè non sapeva stare in gruppo; la vinse Rui Costa e c'erano anche Bauke Mollema, Simon Clarke, Grega Bole...

Chi si lamenta dello spettacolo dei migliori, di quelli per il giallo, o è in malafede oppure ha una memoria difettosa: storicamente, se il Tourannosauro è accompagnato dalla salute e da uno squadrone, la competizione è sempre la stessa. Si corre per le posizioni, i Primi Dieci, soprattutto se - come accade quasi sempre alla Festa di Luglio - l'agonismo è folle, si va à bloc dalla partenza, e il tracciato è molto (troppo?) esigente.
Succede quello che si è visto nella Berna-Finhaut Emosson, la frazione chiave (tutta svizzera): cinquantuno e otto nella prima ora, il plotone dei ras a palla sulle (due) salite, una selezione impietosa dietro e gli attaccanti che rimbalzano (di fatica).
Le medie esagerate di questo Tour (o dell'ultimo Giro) producono il risultato di pochi scatti nella crema, colle gambe intossicate, una conseguenza estetica (..) del Passaporto Biologico.
Se poi l'equipe del patron tende alla Ti-Raleigh 1980, il supercombo (Knetemann, Raas, Van der Velde, Oosterbosch, Lubberding, etc.) che scortò un declinante Joop Zoetemelk al trionfo, per gli avversari le cose diventano maledettamente complicate. Degli scudieri in nero e blu sottolineiamo le performance di Wout Poels che, con una Liegi-Bastogne-Liegi in tasca, sarà uno dei favoriti della gara in linea olimpica nonchè, si sussurra, uno degli uomini mercato del 2017.
Poi, al resto (che è tanto..), ci ha pensato il principe ranocchio; uno sgobbone che, nella versione zerosedici, è parso allo zenith della maturità psicofisica.
Sempre davanti, in prima fila, e capace di improvvisare scendendo - con una vena di follia - il Peyresourde o seguendo Peto Sagan nei ventagli della (straordinaria) Carcassone-Montpellier: sorprendendo, di fantasia, gli altri tappisti.
Nemmeno il footing (..) negli attimi di paura e delirio verso Chalet Reynard, nel caos, o gli ultimi dieci chilometri ai piedi del Monte Bianco - col ginocchio destro sanguinante dopo una scivolata sull'asfalto bagnato - pedalati col mezzo di Geraint Thomas, lo hanno impensierito...

L'evoluzione tecnica di Froomey, bici diversa, una pedalata (alquanto peculiare..) più potente e maggiori momenti fuorisella, fa capire che - nel ciclismo contemporaneo - chi si ferma è perduto.
Il keniano bianco, trentunenne, è stato circondato (sul podio e nella classifica) dalla generazione futura; dagli atleti che, presumibilmente, caratterizzeranno i prossimi Tour.
Romain Bardet, secondo, Adam Yates, quarto (e con molti rimpianti), Louis Meintjes, settimo, e poi Fabio Aru (la batosta presa sullo Joux Plane gli servirà..), Warren Barguil, Ilnur Zakarin (quando imparerà ad andare in discesa?). Il più vecchio (..) della lista è il portacolori della Katusha (nato nel 1989). L'analisi, tenendo conto pure di Mikel Landa e Thibaut Pinot, si completa con quelli che consideriamo i (veri) ras dei Grandi Giri di domani. Tom Dumoulin, Julian Alaphilippe e, last but not least, Nairo Quintana.
L'olandese si è arrotato, banalmente, lungo la Montée de Bisanne, con Daniel Tekleheimanot, mettendo a rischio una medaglia sicura - contro il tempo - in quel di Rio. Vedremo se la frattura al radio della mano destra lo escluderà dai Cinque Cerchi. Le frazioni vinte dalla farfalla di Maastricht in Francia, prima del ritiro, sarebbero state addirittura tre se, nella Sallanches-Megève, non ci fosse stato un irresistibile Froome. Ribadiamo l'assioma: a venticinque anni, con quella classe, ha il potenziale del vincitore di una Grande Boucle.
Alaphilippe, ex ciclocrossista, sorprendente nella terza settimana (l'ennesimo segnale delle stimmate del nostro..), ci pare l'unico erede di Alejandro Valverde (protagonista, col Giro nelle gambe, di un Tour incredibile). Ovvero un fuoriclasse che possa ambire sia a una grande corsa a tappe che alle classiche di un giorno.
Annunciato da molti, noi compresi, come il favorito della Festa di Luglio, Nairo Quintana si è dovuto accontentare di un (anonimo) terzo posto.
Problemi di allergie, una forma mediocre, non gli hanno impedito il podio parigino: un esempio, contraddittorio, del talento della maglia rosa 2014. Il Condor pallido del Ventoux accorciato e delle Alpi è anche figlio di un approccio primaverile blando.
Quintana, al termine del Giro di Romandia (vittorioso) di inizio Maggio, è scomparso dai radar europei per soggiornare nella sua Colombia: al ritorno nel vecchio continente la modesta Route du Sud, breve gara a tappe sul finire di Giugno, non ha preparato a dovere l'organismo ai ritmi esagerati e allo stress psicofisico del Tour.

La selezione darwiniana della Grande Boucle valorizza i mammasantissima, manifesto programmatico è stata la zingarata verso Montpellier della maglia gialla e verde. Chi indossa - in quella maniera - il verde, se lo fa sull'arcobaleno dell'iride (e col numero rosso del Supercombattivo sulla schiena), è un fenomeno. Peter Sagan, in questo 2016, è diventato ufficialmente il capotribù del plotone. Il successo nel taboga di Berna, a casa di Cancellara, è stato una specie di passaggio di consegne. Dallo sceriffo della generazione nata negli anni Ottanta a quello attuale. La differenza è nel contorno: Spartacus ha avuto la concorrenza di campioni del livello di Boonen e Gilbert, Peto - per adesso - sembra senza rivali.
La quinta classifica a punti di fila, a un passo dalle sei di Erik Zabel, si spiega con una continuità fuori dal mondo: in cinque anni, alla Grande Boucle, sette primi posti, diciotto (!) piazze d'onore e otto terzi. Una mostruosità, agonistica e statistica, ribadita dall'atteggiamento complessivo: un gattone che gioca coi topi, in volata, sugli strappi, nelle picchiate; in fuga e in gruppo.
Il Roger De Vlaeminck nato in Slovacchia, classe 1990, ha appena cominciato la sua era: curioso, ma indicativo del suo carattere, che in Brasile il campione del mondo (su strada..) si misuri nella prova di mountain bike.

Nell'anno dell'addio di Fabian Cancellara, patriarca del movimento elvetico, la prestazione (notevolissima) della IAM Cycling suona a mò di beffa. A quattro mesi dalla chiusura, il combo creato da Michel Thétaz sta raccogliendo i frutti di un lavoro cominciato nel 2013. Il Jarlinson Pantano di turno, impostosi nella livrea biancarossoblu del team elvetico, se lo godranno gli altri (nel caso specifico, la Trek Segafredo).
Ci sorprende la mancanza di interesse della Confederazione: sarebbe bastato lo sforzo economico - relativo - di un imprenditore per rinnovare l'impegno dell'equipe. In Svizzera non ci sono i soldi per sfruttare l'esposizione mediatica - planetaria - che ha ricevuto IAM Cycling in questo mese di Luglio?

Nel bel mezzo del Tour, il dì seguente la baraonda del Monte Ventoso, i corridori, con le specialissime al carbonio e le tutine aderenti, hanno disputato una cronometro nell'Ardèche. Laddove trentamila anni fa, in una grotta, un uomo di Cro-Magnon dipinse una serie (ipnotica) di figure animali. Nei giorni della mattanza sulla Promenade di Nizza, il ciclismo, rito sportivo che si rinnova sulle strade, pare riportarci un pò verso la magia, il mistero, che cominciò dalla Caverna Chauvet. Nell'impazzimento dei subumani kamikaze, chiudere la rassegna dando i numeri della Grande Boucle 2016 è un sollievo...
3 - Le prime pagine consecutive dedicate a Romain Bardet da L'Equipe. Siamo terrorizzati dalle idee che l'ASO si farà venire, l'anno prossimo, per favorirlo...
30 - Le tappe vinte da Mark Cavendish: sorpassato Bernard Hinault, il primatista Eddy Merckx è a - sole? - quattro affermazioni. Sarebbe un'impresa clamorosa.
44 - I giorni in maglia gialla di Chris Froome. Il keniano bianco sta tra Antonin Magne (38) e Jacquot Anquetil (50). Ottima compagnia.
85 - La velocità massima in chilometri orari registrata da Jon Izagirre nella discesa del Col de Joux Plane. Sotto il diluvio, percorrendo una stradina di montagna: un numero da applausi.
97 - Gli anni compiuti domenica da Ferdinand Kubler, primo rossocrociato a vincere il Tour de France (1950). Una leggenda del Novecento.
174 - Gli atleti approdati ai Campi Elisi per la passerella finale. Record assoluto.
2017 - Grand Depart con una cronometro di 13 chilometri in quel di Dusseldorf. Trent'anni fa, nell'87, l'ultima partenza tedesca, a Berlino Ovest. C'erano ancora il Muro e la Germania Est...

Simone Basso

Pubblicato da Il Giornale del Popolo il 26 Luglio 2016

venerdì, luglio 01, 2016

Grande Boucle 016 - Il Tour de France 2016 presentato da Simone Basso

Centotreesima edizione del Tour de France, attesissimo - come sempre - per le storie che svilupperà e l'uno due con Rio. Amaury, la Società che l'organizza il kolossal, panem et circenses, al solito ha preparato una sceneggiatura avvincente.
Tre settimane all'insegna della grandeur e dei giganti della strada.

Basti pensare alla partenza da Mont Saint-Michel, l'isolotto della Normandia circondato dalle lune della marea, e l'arrivo della prima tappa in quel di Utah Beach. Laddove gli Alleati, settantadue anni fa, sbarcarono per liberare quelle terre dai nazifascisti. In tempi di Brexit, l'eutanasia del Regno Unito di oggi fa ancora più sensazione: su quelle spiagge ci sono ancora le impronte delle ossa dei militari inglesi.
Il Tour de France, in una realtà mediatica sempre più liquida e sfuggevole, impone invece una narrazione. Anche politica: non è questa la sede per sviluppare il tema, ma ASO si sta mangiando l'UCI...
Lo zerosedici è un ricciolo classico: percorre la nazione in senso antiorario e dunque prevede prima i Pirenei e poi le Alpi. La tradizione insegna che il settore pirenaico sarà d'attesa e quello alpino decisivo.
In mezzo, a mò di totem, il Mont Ventoux, guglia solitaria della Provenza. Con la novità di una sezione svizzera che sposterà parecchio nella Generale. I presupposti per un Luglio torrido ci sono tutti.

Grande Boucle che per la maglia gialla annuncia soprattutto un duello, più una serie di variabili, magari impazzite. Chris Froome contro Nairo Quintana.
Il Team Sky, completissimo, uno squadrone (Geraint Thomas, Landa, Poels, Kiryienka..), opposto a una Movistar d'assalto (Valverde, Moreno, Anaconda..), schierata stavolta intorno al Condor.
Il braccio di ferro, in una competizione che - in particolar modo prima delle montagne - è impossibile da controllare, avrà dinamiche spossanti. Potrebbe essere la vernice, storica, di un colombiano che certificherebbe lo zenith di un movimento dominante o il tris del britannico che si affiancherebbe a leggende (Thys, Bobet e Lemond).
Noi, dovessimo scommettere (..), propenderemmo per la prima soluzione. Le nove tappe d'alta montagna, frazioni complesse altimetricamente con gpm in serie, paiono favorire uno scalatore resistente come Quintana, piuttosto che il keniano bianco. Straordinario negli arrivi "secchi", un pò meno nella successione di salite: quest'anno, nel cuore del Tour, il solo traguardo alla Froomy ci sembra il Monte Calvo che già spianò nel 2013.
Logico che la sfida non si giochi solo sulle vette: l'abbrivio è zeppo di trabocchetti. I possibili ventagli della Tre Giorni nella Manica, con i pericoli della Saint Lo-Cherbourg en Cotentin con un finale da Classica (un drittone al quattordici percento a 1500 metri dall'arrivo). L'approccio all'insù nel centro della Francia, la Limoges-Le Lioran, il quinto dì: delle sei salite affrontate, il Puy Mary e il Col du Perthus sono i primi veri esami per i favoriti. Infine due cronometro belle toste: il 15 Luglio, con il Ventoux nelle gambe, la Bourg Saint Andéol-La Caverne du Pont d'Arc, 37 chilometri e mezzo che premiano i wattaggi e la tecnica di guida del mezzo. La tappa numero diciotto, Sallanches-Megève, una cronoscalata che termina in discesa (sic), tratti al diciassette percento e un passaggio sulla collina di Domancy resa celebre, amarcord, dal trionfo mondiale di Bernard Hinault (1980).

Il terzo uomo è Alberto Contador, all'ultimo (?) giro di giostra e pericolosissimo: uno che ama sorprendere, tatticamente, attaccando da lontano. Il Pistolero, comunque vada, sarà una garanzia per lo spettacolo.
Gli altri?
Il Thibaut Pinot ammirato tra Criterium Internazionale e Romandia sarebbe quasi da corsa, quello un pò appannato del recente Tour de Suisse affonderebbe al primo scossone. Romain Bardet, se citiamo Pinot non può mancare il rivale più acerrimo, assicura più continuità e combattività rispetto al corridore dell'Alta Saona; ma vanta meno esplosività e potenziale. Tejay Van Garderen, a proposito dell'ossessione gialla, dovrà decidersi a compiere l'ultimo salto di qualità: potrà pure dividere la pressione di co-capitano - alla BMC - con Richie Porte. Un altro con tanti punti interrogativi sulla sua tenuta (psicofisica) nella terza settimana.
La strana coppia Nibali-Aru merita uno spazio a sé.
Divisi in casa da tempo, correranno insieme la Festa di Luglio prima del ricco approdo arabo (nel 2017, in Bahrain) del siciliano. La gestione Astana, terza super equipe di questo Tour, dei due campioni italiani avrà qualcosa della sit-com: Nibali e Aru si detestano cordialmente, questa primavera, ai margini di un'intervista della Gazzetta dello Sport a Nibali, il siciliano si espresse senza troppa diplomazia ("Fabio - Aru ndr - si arrabbia spesso, diventa irascibile.. Non chiede nulla, non ti tiene in considerazione."). Il risultato, fatto sparire in cinque minuti netti per evitare un caso, fu un tweet velenoso del sardo contro il messinese.
Al di là delle ambizioni inconciliabili, Nibali da battitore libero (sempre che si accontenti di qualche giornata di gloria..) è un bel rebus per gli avversari, Aru punta almeno alla maglia bianca di miglior giovane.
Il resto è ricchissimo contorno: il miglior corridore del plotone, l'iridato Peter Sagan, tenta di aggiudicarsi la quinta classifica a punti consecutiva (?), Dan Martin verificherà il sogno di competere coi Froome e Quintana; Warren Barguil, al pari di Wilco Kelderman, Diego Rosa, Adam Yates e Julian Alaphilippe (un fenomeno..), ha un test per un futuro coi Grandi. Il livello, altissimo, si conferma nei cacciatori di tappe e negli sprinter (Boasson Hagen, Van Avermaet, Rui Costa, Dumoulin, Degenkolb, Kittel, Greipel, Kristoff, Cavendish, Matthews..).

Grande Boucle con un generoso sconfinamento in Svizzera, tre dì compreso il secondo riposo a Berna. La città federale celebrerà Fabian Cancellara, uno dei migliori atleti di sempre dello sport elvetico nonchè il più forte ciclista rossocrociato dai tempi di Koblet e Kubler. L'ultimo Tour di Spartacus coincide anche con l'ultimo della IAM Cycling e la pattuglia (sparuta) di svizzeri ci terrà a mettersi in evidenza.
Michael Albasini, per esempio, si adatta alle frazioni più complicate dell'incipit. Sottolineiamo che la diciassettesima tappa, Berna-Finhaut Emosson, che si correrà interamente - il 20 Luglio - sul territorio della Confederazione, potrebbe spostare gli equilibri della contesa. La Forclaz, uno dei passi storici, prima dell'ascesa conclusiva verso la diga di Emosson: 10,4 chilometri impegnativi, con gli ultimi ben al di sopra del dieci percento di pendenza media.

Alcune feste di Luglio col sei, nel dopoguerra, sono state epiche e imprevedibili. La teoria del caos o giù di lì.
Il 1956 è ricordato come il Tour più folle (e divertente): si impose Roger Walkowiak - forse il vincitore con meno curriculum nella storia della gara - sfruttando una fuga bidone e una serie incredibile di circostanze.
Dieci anni dopo, un'altra edizione matta (..) con Lucien Aimar che beffò il solito, sfortunato, Raymond Poulidor; la regia del golpe (?) fu di Jacques Anquetil, rivale acerrimo di Pou Pou. Jacquot avrebbe pagato lo sgarbo, l'ennesimo, qualche settimana più tardi al Nurburgring in occasione del Mondiale.
Zerosei altrettanto fuori di testa: Oscar Pereiro trionfò (..) a bocce ferme, acclarata la positività dell'ex postino (Armstronghiano..) Floyd Landis, autore di un assolo straordinario quanto sospetto nel tappone di Morzine. Successe di tutto, compreso il fatto che Pereiro rientrò in classifica grazie a una maxifuga nella Béziers-Montèlimar. Vinta da un irresistibile Jens Voigt, motrice dell'azione e compagno di squadra di Kloden che, facendo i conti della serva, perse il giallo di appena 32"...
Annate deliranti. Il 1996 di Bjarne Rijs e la fine del ciclo del Faraone Indurain, Epolandia Alta. Quando si rivelò l'Uber-Mensch Jan Ullrich (che senza obblighi di gregariato avrebbe strabattuto il - capitano - danese) e piovve per una settimana e mezzo, che parve autunno, prima dei quaranta gradi all'ombra nel Midi. Ancor meglio il '76, l'estate più calda del secolo: Van Impe, nella canicola, si mise in tasca la vittoria, verso il Pla d'Adet, con la collaborazione fattiva del grande Luis Ocana.
Il 1986 è una delle stagioni iconiche del Novecento ciclistico. L'arrivo mano nella mano, all'Alpe d'Huez, di Lemond e Hinault; la faida interna a Le Vie Claire, col Tasso e i francesi contro Greg e gli stranieri e il primo successo di un americano (e un extraeuropeo). Con la concorrenza, di lusso, di uno svizzero del Canton Soletta.

Urs Zimmermann è stato il tappista elvetico più forte della sua generazione. Fondista hors categorie, potente (proveniva dalla scuola della Cento Chilometri) e versatile. L'ottantasei fu l'apice di una carriera che non ebbe il premio che meritava, cioè la vittoria in una grande corsa a tappe. Duellò con un super - Sean Kelly - alla Parigi-Nizza; portò a casa, meritatamente, Critérium International, Dauphiné Libéré e il Campionato Nazionale.
Capitano di una squadra notevole, la Carrera di Davide Boifava, fu sfortunato nell'incrociare le sciabole con Lemond, Hinault e il gruppo Tapie: i gregari si chiamavano Hampsten, Bauer, Bernard, etc.
Le Blaireau e il delfino, eterni litiganti, dovettero allestire un Trofeo Baracchi per distanziare - definitivamente - Zimmy. Lo staccarono nella discesa del Télégraphe, rischiando l'osso del collo, e isolandolo sul falsopiano (maledetto) che portava a Bourg d'Oisans (e all'Alpe). Il podio parigino, quel terzo posto, non avrebbe avuto continuità. Lasciò nella bufera del Passo Gavia - 1988 - l'occasione di vestire la maglia rosa del Giro. Poi, piano piano, declinò. Bipede complicato quanto intelligente e sensibile, vegetariano, ai tempi una primula rossa (sic), per lui - colla fobìa del volo - nel 1991 scioperò (compatto) l'intero plotone.
Nel giorno di riposo gli organizzatori, constatato il rifiuto di Urs di prendere l'aereoplano, lo squalificarono. La protesta dei corridori cancellò la decisione.
Il momentum di Zimmermann?
Sempre nel 1986, a Settembre, al Giro del Lazio, in quegli anni la terza classica tricolore dopo i due Monumenti (Sanremo e Lombardia). Opposto alla crema dell'epoca, mise assieme settanta chilometri di volo solitario: dalle rampe di Rocca di Papa al Colosseo, passando sul pavè di Appia Antica. Un'impresa atletica da incorniciare.

Il Tour 2016 sarà, per la prima volta da quarantun'anni, senza Lucien Blyau: l'omino ai bordi della strada che, di sua sponte, riforniva di bevande il gruppo. Mercoledì scorso, alla Halle-Ingooigem, Lucien - su una sedia a rotelle - ha visto forse per l'ultima volta il passaggio di una corsa. "Da tempo non mi sentivo così bene" ha dichiarato il novantunenne, malato terminale.
Lucien era conosciuto da tutti i corridori: li aspettava, imperturbabile, nei tratti più difficili e gli passava le bibite fresche. E un pò di sollievo.
Quando ci chiedono perchè amiamo il ciclismo, la risposta - semplicissima - è perchè ci sono i Lucien. O almeno sopravvivono. I personaggi, figli di un Dio minore, biodiverso, che altrove sono stati rimpiazzati (definitivamente?).
Sostituiti da una corte di esibizionisti, di attori (del villaggio globale), di vip rivolti verso le telecamere, di selfie. Talmente artificiali e colorati da indurre al daltonismo.

Simone Basso

Pubblicato da Il Giornale del Popolo venerdì 1 Luglio 2016