
La netta sconfitta di Marassi contro la Samp e soprattutto la chiusura del mercato estivo, consentono delle
riflessioni su
generali
strategie societarie e
obiettivi stagionali.
Quest’anno, mettendo da parte la consueta prudente scaramanzia, società e giocatori si sono
sbilanciati dichiarando apertamente che l’obiettivo è il ritorno in
Europa, meglio se Champions League.
Con un po’ di sano realismo vediamo perché, invece, l’obiettivo Champions è
utopistico e quello Europa League piuttosto improbabile.
La squadra dello scorsa stagione era buona, per certi versi ottima, aveva solo qualche piccolo difetto da correggere. Al solito, normale sia così, sono arrivate diverse offerte per i pezzi pregiati. Quella per
Quagliarella era davvero irrinunciabile per giocatore e società.
Venti milioni di euro, parte dei quali da reinvestire sul mercato per un attaccante centrale, alternativa a Floro Flores. Una società ambiziosa, come da proclami di Paron
Pozzo, non compra certo
Corradi (
parametro zero), reduce da due retrocessioni e diverse panchine con Parma e Reggina. Una squadra che punta convinta al quarto posto si muove in modo molto diverso, come il
Genoa per esempio. Preziosi ha dovuto cedere alle lusinghe dell’Inter per Milito e Thiago Motta ma ha subito reinvestito il denaro acquistando una serie di ottimi giocatori. Via
Milito? Dentro
Floccari,
Crespo e Palacio. Via Motta? Arriva Zapater. Questa è la politica giusta per una squadra che non può dissanguarsi con ingaggi folli e che, egualmente, punta a rimanere competitiva per le posizioni che contano. Altro esempio di squadra sul livello dell’Udinese è quello del
Napoli. Disastrosa seconda parte di stagione, obiettivo Europa rinnovato con acquisti di buonissimo livello (Campagnaro, Zuniga, Cigarini, Quagliarella su tutti). La stessa
Sampdoria, spinta dalla rivalità cittadina, ha operato con grande attenzione e capacità. Arriva Del Neri, maestro del 4-4-2, e lo si mette nelle migliori condizioni possibili per praticare il suo calcio (
Semioli e
Mannini sulle corsie). In più, per prevenire eventuali raffreddori della coppia d’oro Cassano-Pazzini, l’ultimo giorno di mercato viene acquistato il promettente
Pozzi.
Considerando che i primi due posti sono già appannaggio di Juve e Inter (l’ordine non è casuale) e che Roma, Milan e Fiorentina non hanno affatto rinforzato le rispettive rose, la possibilità di giocarsi un posto tra le quattro (o tra le prime sei) è quest’anno più che mai concreta.
Occorreva solo completare l’organico con un terzino destro di ruolo (l’anno scorso si era partiti con Motta, Ferronetti e Nef, quest’anno con l’adattato Isla) in grado di sostituire il cagionevole Fe

rronetti. Un
quarto centrocampista di livello che si alternasse con il trio Asamoah, D’Agostino, Inler (
Dzemaili è andato al Parma in prestito), anche perché sul rendimento di
D’
Agostino potrebbe pesare molto l’estate passata a sognare Juve e Real. Infine, una punta centrale abile negli spazi e brava a far salire la squadra. Un
attaccante da
8-10 gol che si alternasse con Floro Flores. Pozzi, seppur reduce da infortunio, sarebbe stato ideale.
Operando in questo modo, invece, sono stati portati a casa diversi talenti validi in prospettiva e soprattutto vendibili a cifre importanti fra 2-3 anni. Anziché chiudere la campagna acquisti con
27 milioni di attivo, non sarebbe stato meglio chiuderla con un +15-20, portando a casa un paio di giocatori di livello? E’ questo il cuore del problema. Si deve ragionare sulla
filosofia della società bianconera. Mantenere la categoria, lanciare qualche giovane e incassare (molti) euro va più che bene. Se invece si vogliono raggiungere obiettivi prestigiosi occorre qualcosa di più, uno sforzo come quello fatto nell’
estate 2004. Ad una squadra già solida vennero aggiunti
Mauri e
Di Natale. Alla fine fu
Champions League. In panchina c’era Luciano
Spalletti, ma questo è un altro discorso...